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Nasce a Napoli, per l'anagrafe il 05.01.1928, ma la data di nascita che lui sente propria e festeggia è la notte del primo dell'anno 01.01.1928. Sembra cosa da poco, ma è suo desiderio che la sua vita inizi con il "mito" della nascita del nuovo anno.
Sua madre - lui stesso racconta - nel partorire sentiva botti, tric e trac, fuochi d'artificio, piatti e cose vecchie gettate per le strade di Napoli, quartiere Stella. Il giorno cinque non gli va proprio giù, e a chi gli chiede: "ma perché allora la data anagrafica è il cinque gennaio e tu dici di essere nato il primo?" lui risponde che a quel tempo non esisteva un periodo di alcuni giorni nel quale era consentito posporre la registrazione della nascita e che quindi l'iscrizione ai registri anagrafici coincideva con il giorno in cui la levatrice dichiarava la nascita davanti all'ufficiale del registro dell'anagrafe.
Plinio è il secondo figlio sopravissuto - in verità il terzo. Il primo, Francesco morirà di malattia a pochi anni e insieme ad un'altra vittima, un secondo Francesco nato più tardi, i due Francesco rimarranno sempre nel cuore di Plinio come una perdita gravissima. Plinio appartiene ad una famiglia partenopea di costumi e di amore, numerosa e generosa di figli, nove in totale di cui solo sette sono rimasti in vita. Il padre Gaetano Tammaro, pilota/motorista, collaudatore dell'Aviazione Militare Italiana e la madre è Erminia, Ranaldi da signorina, casalinga
I continui spostamenti che l'Aviazione impone al padre che le fece tutte, fanno abbandonare - alla famiglia Tammaro - Napoli per recarsi a Roma, quando Plinio aveva soli due anni. Trascorre la propria infanzia, mentre la famiglia cresce di numero a Roma. Si instaura un rapporto profondo di amore e di competa complicità con la madre Erminia che sarà alla base di molte sue scelte fondamentali future sia del percorso formativo-artistico sia del percorso di vita professionale. Il padre Gaetano, per motivi di lavoro e di guerre che, suo malgrado,era costretto a seguire durante il periodo dell'Italia Fascista, non è molto presente in famiglia, rappresenterà una figura, mitica, autoritaria, che Plinio rispetta, ama, ma con un distacco, talvolta colorato di incomprensione. Il rapporto più intimo e diretto è con la madre e con i fratelli, tre in totale: Fausto,Antonio e Giuseppe; e con le sorelle: Maria, Tita (Concetta) e Alma in ordine di età. Un rapporto, che nonostante frizioni e attriti, li porta per i continui spostamenti: Roma, Castiglion del Lago, Civitavecchia, Siena a sviluppare una vera e grande coscienza di unione familiare, che Plinio addirittura vive quasi con un senso di esclusività, di appartenenza di sangue, anche quando più tardi formerà un proprio nucleo familiare.
La famiglia quindi costituisce un nucleo portante, antidoto alle difficoltà - nessuna esclusa, compresa l'esperienza di un campo di concentramento dal quale riusciranno a fuggire - che la II Guerra Mondiale impone con shock traumatici (fughe, bombardamenti, campo di concentramento, scuole - quando possibile - sempre diverse, sempre e comunque clima di terrore) a Plinio e alla sua famiglia.
Plinio giunge ancora ragazzo nell'inverno del 1941 a Siena e abita con la Famiglia una casa in "Pescaia", la "casa del Dazio". Suo orgoglio saranno gli archi esterni in facciata sopra le finestre, che da solo - prima opera architettonica - riuscirà, all'età di 16 anni, a costruire in cemento con centine di legno da lui realizzate. Racconta sempre di come i manovali che di li passavano lo prendevano in giro ed erano scettici dell'esito che il suo lavoro, di ragazzo, avrebbe prodotto. A Siena frequenta l'Istituto d'Arte e inizia i primi esperimenti artistici.Nel suo libro "Ci vediamo in Piazza" Plinio scrive: " Erano anni di fine guerra. Le insensate usurpazioni e le atrocità che compivano i giovanissimi repubblichini contro la popolazione, soprattutto coetanei, ragazzi e ragazze, si trasformavano spesso [….] in gravi fatti:arresti, ferimenti e talvolta atti mortali. [….] Io adolescente alto più della media ero soggetto al maledetto rischio di essere preso per errore e spedito in qualche campo di concentramento. Le incessanti raccomandazioni da parte di mia madre, atterrita dai fatti che vedeva, erano di non tardare all'uscita della scuola [….] ma corressi prima possibile a casa. Per sentirsi più serena mi suggerì un itinerario per lei più tranquillo: Passa dal fosso di Sant'Ansano, mi disse e io lo feci. Ero da giorni li, a guardare dalla vetrage un piccolo uomo bianco (ndc. Ettore Cortigiani) che, chino sul trespolo, picchiava sulla pietra con un ferro e un martello quasi quadrato. [….] quella pietra, schizzando prendeva forma. [….] Alle tredici, ora in cui uscivo dalla scuola, tutti i giorni, e per tanti altri a seguire, tra l'estasi di ciò che vedevo e l'incertezza di tornare a casa, mi chiedevo se fosse questo l'ideale, [….] l'accendersi di un sole e capire quel che poi saranno nella vita. [….] Ormai tutti i giorni ero lì a vedere, e guardavo con intensità curiosa. Non si è mosso è sempre lì, solo la pietra si è trasformata. [….] Un giorno (ndc. Ettorino) aprì la vetrage [….] se vuoi entrare, vieni ! Nell'entrare nello spazio stretto feci passare prima la cartella e poi m'infilai con difficoltà. Sbattevo dappertutto, già il bianco mi striava i vestiti. [….]Da allora il bianco mi si impossesso di me, ne fui segnato per la vita."
Ancora ragazzo-studente, stregato dal fascino della scultura, Plinio inizia a lavorare nella bottega di Ettore Cortigiani ma anche e soprattutto nello studio dello scultore senese Vico Consorti dal 1942 al 1954. Si diploma tuttavia al Liceo Artistico di Firenze e a Firenze completa gli studi artistici all'Accademia delle Belle Arti, dove frequenta la sezione di scultura diretta da Romano Romanelli. Nel 1955 Plinio Tammaro esordisce nel mondo dell'arte pubblica con la partecipazione al concorso per la erigenda porta centrale del Duomo di Siena. Nel 1963 all'Accademia delle belle Arti del Disegno di Firenze, Plinio Tammaro presenta numerosi bozzetti sul tema della "Tauromachia". In quella occasione Plinio viene insignito del riconoscimento di membro aggregato della Classe degli Scultori. Nel 1964 fonda il gruppo artistico fiorentino "Le Proposte" insieme a Delia Betto, Loris Fucini, Carlo Severa, Salvatore Cipolla. Sin dagli anni '60 frequenta i laboratori di Pietrasanta e Carrara e partecipa al clima internazionale creato in Versilia dalla presenza di Lipchitz, Sorn, Iposteguy, Guttuso, che conosce e frequenta. Matura uno stile neorealista, parallelo alle ricerche letterarie di Moravia, Sartre, Pisolini che interessa il grande Critico d'Arte Mario DeMicheli, da allora amico,estimatore e interprete critico di Tammaro. Nel presentarlo alle personali tenute nel 1977 a Roma, al Maschio Angioino di Napoli, alle logge del Papa e della Mercanzia a Siena.
Mario DeMicheli osserva: "La scultura di Tammaro così come oggi si pone,è soprattutto una scultura drammatica enunciata con un linguaggio che si definisce per tensioni e fratture, per contrasto tra spazi rigidi e nuclei erompenti, per rigori compositivi e insorgenze emozionali. Tammaro ha dunque coscienza delle contraddizioni che invadono e agitano i nostri giorni, ne possiede il sentimento dialettico, è scultore d'immagini e le immagini che produce costituiscono una efficace sintesi diretta [….] I suoi personaggi, anche quelli che appaiono come costretti nei vincoli di una condizione ostile, non sono mai personaggi prostrati, al contrario rivelano insorgenze, tensioni liberatorie."
Il critico si riferisce alle grandi sculture in marmo eseguite da Plinio Tammaro negli anni che vanno dal 1970 al 1977, periodo di particolare importanza creativa su temi attuali e d'impegno sociale quali il femminismo, la condizione operaia, la contestazione, e ricorrente il drammatico rapporto uomo-donna caratterizzato da una sofferta incomunicabilità. Il marmo è portato all'estrema pulitezza, le superfici accarezzate dal ripetuto passaggio di abrasivi sempre più fini, appaiono lisce e luminose, e proprio l'algida perfezione della materia sembra imprigionare gli istinti e gli impulsi sentimentali delle figure in una leggibile metafora della condizione umana. L'interesse per gli eterni temi esistenziali guida l'artista alla lettura dei testi teatrali di Strindberg, Pirandello, DeFilippo e dei tragici greci, gli ispirano complesse opere polimateriche concepite come vere e proprie rappresentazioni su palcoscenici aperti, segmentati da elementi geometrici che, simili a violente luci da ribalta tagliano lo spazio fuoriuscendo con forza esplosiva.
Negli anni '80 Plinio continua a lavorare su questo impianto artistico che raggiunge la sua acme produttiva. Lavora a Milano dove ha allestito uno studio vicino a Porta Venezia e successivamente in Corso Buenos Aires e alterna produzione scultorea a produzione grafica di incisioni perlopiù con la tecnica della punta secca e ceramolle, passando dall'incisione monocromatica a quella policromatica e alla litografia. Grandi sculture in legno come la Lupa, L'Etrusca, i cicli delle Sibille sono la produzione di questo secondo decennio prolifico della creatività scultorea di Plinio Bronzo, legno, legni dipinti, marmo, ceramiche e sculture polimateriche.
Come osserva il poeta Cesare Viviani, suo amico e attento conoscitore della poetica scultorea di Plinio, quando presentò una personale di Tammaro alla Galleria Schubert di Milano (1987) :" Qui l'arte interviene a trasformare lo spazio quotidiano e comune in uno mitico ed eroico. Tra il tepore chiaro del legno e la nera nudità del bronzo Tammaro spalanca con un gesto dei suoi attori la fatalità di ogni esistenza".
Apre il nuovo decennio degli anni '90 l'attività di partecipazione intensa a numerose rassegne nazionali e internazionali, esposizione alla Biennale di Scultura a Milano, Rassegna a Milano "Percorso della Scultura Italiana", I Internazionale di Scultura a Legnano, una personale alla Galleria Braidense con cura critica di Roberto Sanesi (1991): "[….] Tammaro mantiene questa molteplicità delle relazioni, di scambio, confronto, disgiunzione, sottile legamento di elementi separati (spesso in funzione simbolica) [….] giocando nel comporre su u congegno tesi/antitesi, mostrando con forza talvolta deformante il taglio, lo snodo, la cerniera…l'espansione di un particolare sull'interezza (con effetti di "espressività" forte), i punti d'intersezione, le sproporzio sottolineano una ….improbabilità….che pure si riconosce nel verisimile". Se Tammaro sembra indulgere nel verismo, subito dopo nel medesimo soggetto o in una sua porzione si lancia nell'informale e nell'astratto donando ai suoi soggetti uno spazio "metafisico", di fissità onirica, oppure di dinamismo scenico teatrale.
Sanesi continua: " Una indicazione di congiunzione-disgiunzione che caratterizza ogni mito e che consente a Tammaro,nelle sue scelte tematiche, soluzioni che alludono alla metamorfosi o più decisamente si concretizzano con un assemblaggio che è insieme formale e interpretativo. [….] Il mito, la favola, ovvero il "teatro di Tammaro [….] sembra tendere a includere in un'unica figura complessa la differenza degli elementi compositivi, che si ricompongono in immagini i simultaneità".
Tammaro si presenta a volte con una tematica ispirata alla storia: Paolina, Biccherna; a volte al mito: Ganimede, Giovane Centauro ; altre volte ai grandi interpreti del Teatro: Strehler, Marta Abba , lezione di recitazione in cui il legame alla figurazione del precedente periodo realista, seppure persiste, è decantato di ogni espressione drammatica per privilegiare la dimensione simbolica del soggetto. In questa direzione, Tammaro ha ulteriormente liberato la scultura da rapporti naturalistici e realistici per creare immagini liriche dalle forme disgregate ed esplose, ricondotte ad unità compiuta dall'intervento di una maggiore stesura materiale del colore in cui i toni del bianco prevalgono ed illuminano.
I temi prescelti: le Sibille e le Matres Matutae per la loro evocazione mitologica dilatano nel tempo il significato delle opere, fino a presentarsi come archetipi o nudi motivi di poesia. Non a caso negli anni '90 la sua attività è stata seguita e presentata soprattutto da poeti come Cesare Viviani, Osvaldo Patani, Roberto Sanesi, che nel mistero delle forme evocate da Tammaro riconoscono le radici del loro stesso comporre. Attraverso l'evoluzione della ricerca tematica, permane la riconoscibilità del suo stile, affidato ad una intensa ed inesausta tensione formale, talora arrestata da gorghi di pieghe che come ostacoli frapposti all'ansia di vita deviano il trascorrere rasserenante di profili e volumi. Ogni sua scultura diventa così simbolo della stessa esistenza umana racchiusa nella capacità allusiva del linguaggio artistico.
Gli anni '90 sono una continuazione di tutto il patrimonio creativo avvenuto nei vulcanici anni '70 e '80 in cui Plinio Tammaro ha tessuto una rete di nuovi germi creativi che per 10-15 anni dovrà sviluppare. La scultura fissa una serie di temi in bronzo: la Biccherna, Tuscia, Sibilla arborea , Sibilla del mattino, le polene, La luna nel pozzo, Sibilla seminante o temi lignei: Selene e la Sibilla, Sibilla senese, le stagioni, le spose felici, Eva incerta, Eva del pescatore, realizza anche sculture in lamina di bronzo Grande Polena o di acciaio Grande Sibilla. Tuttavia lo stato di salute di Plinio è in questi anni che conosce una catena di eventi di rilievo che allentano il ritmo incessante della sua produzione. Ricoveri ospedalieri e periodi di convalescenza lo portano a recuperare una dimensione pittorica, grafica, a spostarsi da Milano a Siena e a privilegiare i piccoli soggetti ai grandi.
Plinio tuttavia con tenacia ed incredibile spirito indomito e mai pago continua nell'attività espositiva in importanti sedi, tra le quali: Nazionale di Scultura Permanente-Milano('93), VII Triennale dell'incisione-Milano ('94),Triennale di Milano ('95), Sitazioni Scultura- Comune di Massa ('96), varie personali ('97): a Piombino, San Giustino Valdarno, I Biennale Internazionale d'Arte Contemporanea - Francavilla(Bari)1998, Arte Fiera ('99) Con l'inizio degli anni 2000 riprendono le importanti esposizioni: Antologica a Firenze all'Accademia del Disegno, un'antologica a Viterbo -(2001). Nel 2002-03 espone a Palazzo Chigi di San Quirico d'Orcia, per due volte, serie distinte di incredibili opere pittoriche che reinventano i paesaggi toscani in tavolozza e in lucentezza, accompagnando l'osservatore ad un coinvolgimento di complice sogno in emozionanti scenari di espressioni creative.Dal 2004 al 2007 Tammaro continua la sua produzione pittorica in tele di acrilici e in disegni o tele di angeli luminosi. Ma nella scultura è evidente un "saltus ingenii", una intuizione che chiuderà circolarmente il campo d'indagine per anni condotta da Plinio su piccole figure lignee o bronzetti sia sul tema della donna sia sul tema dell'angelo. Per la donna, sempre in vetta alle preferenze tematiche dell'arte di Tammaro, una serie di piccoli bronzetti che narrano le varie fasi della vita di una donna e le relazioni con sua madre o le sue amiche, poste in rapporto l'una con le altre su di un arco orizzontale sollevato da terra, che con particolare genialità dona loro un tracciato comune . Ma una incredibile trovata inonda di luce cromaticamente scomposta gli angeli di Plinio, il connubio di vetro colorato per le ali, applicate alle scapole del corpo dell'angelo in legno grezzo, non dipinto, composto da una insieme di elementi che Tammaro lavorava uno ad uno. Scomposizione della luce e scomposizione dei corpi nei suoi elementi La rifrazione della luce sulle ali realizza il senso di leggerezza eterea che Tammaro associa ai suoi angeli pieni di bagliore luminoso.
Non ultima la trovata di comporre altri piccoli soggetti in legno e marmo. In pittura l'ultimissimo 2007 e i primi mesi del 2008, successivamente un lungo ricovero che lo porterà alla morte il 7 Agosto 2008 alle ore 17:00 nel reparto di UTIC all'Ospedale le scotte di Siena, vede il cambiare totalmente tematiche che dal paesaggio delle campagne toscane passa ad essere lo spazio, le vastità cosmiche, popolate di forme ovoidali a grappoli, dove luce e tenebre si combinano in profonde oscurità contrapposte a bagliori siderali. Entusiasmo per queste pitture si mescola a stupore che lui stesso propone quando ne parla per non comprendere da dove questa vena gli provenga come spinta interiore, che si svela solo nel momento che arriva a esternarla sulla tela. In scultura, la summa di questo periodo creativo è la chiusura, la coerenza e la valorizzazione di una lunga vita creativa e il ritorno alle tematiche, e alle forme quali le maternità e le tauromachie che costituivano temi privilegiati del periodo degli anni '60. Con linguaggio nuovo, ma con il sapore di quei lontani anni, Plinio Tammaro sente la necessità di suturare alcuni strappi della sua lunga via creativa e ripropone particolari che rievocano i toreri, in figure di angeli bronzei o in fusioni di alcune sue sculture di una volta.
E' venuto a mancare un artista, che ha saputo, con rigore e con fermezza, cogliere e proporci vari aspetti plastici e poetici tutti coerenti, nella ricerca, nell'indagine, fervidissimo sperimentatore e inventore. Un artista che ha creato una scuola di pensiero e formato, forgiato giovani allievi e talenti. Un artista che ha saputo fronteggiare le mille difficoltà che l'uomo Plinio Tammaro, ha suo malgrado incontrato nella sua esistenza, ma che ha tenute lontane dal suo grido lirico, ché non lo soffocassero o minimamente lo attenuassero. Plinio e per dirla con le parole di Mario De Micheli esprime un "messaggio" nelle sue sculture: "[….] un messaggio d'energia: energia pur nella consapevolezza delle difficoltà a vivere dentro la vicenda del nostro tempo, un tempo in cui l'integrità dell'uomo è minacciata da ogni parte, in cui violenza e prevaricazione imperversano, in cui i segni della socialità sembrano oscurarsi per l'insorgere di forze irrazionali generate dalla volontà di un potere disumanante.
I Personaggi di Tammaro, anche quelli che appaiono come costretti nei vincoli di una condizione ostile, non sono mai prostrati, al contrario rivelano insorgenze, tensioni liberatorie. Direi che questa è la più giusta chiave di lettura delle sue immagini, delle allusioni e dei suoi simboli.[….]Come si vede Tammaro ha intrapreso una strada tutt'altro che facile: è una strada senza alibi dove tutto si gioca allo scoperto, dove non ci si può certo nascondere dietro un dito.
Una scultura così, oltre ad ogni altra considerazione, è anche un atto di coraggio." Dobbiamo molto, noi tutti, a Plinio.